Messa da parte (ma non scartata) la Vergani ed il romanzo d’indagine, Elisabetta Bucciarelli ci porta in un mondo che il lettore conosce solo dall’esterno e superficialmente.
La storia infatti si svolge in una discarica, uno di quei luoghi che per la nostra società, basata per la maggior parte sull’immagine pulita e levigata dei modelli e delle pubblicità, non dovrebbe esistere e di cui forse non si dovrebbe parlare.
I rifiuti danno fastidio, ingombrano, certe volte invadono le città; è sufficiente uno sciopero di un giorno per far emergere lungo le strade quello che noi scartiamo.
Ma un romanzo della Bucciarelli non può fermarsi a raccontare i rifiuti e la loro gestione, pure se la collana “VerdeNero” si occupa anche di questo: l’analisi va come sempre più a fondo, tocca delle corde che danno fastidio e mettono a disagio il lettore.
Iniziamo dalla frase: “siamo ognuno lo scarto parziale o totale di qualcuno.” E’ veramente così?
La parola “scarto” non è usata nel suo significato più comune, il risultato di un processo, ma indica quello che mi differenzia da ogni altro essere delle specie umana.
Forse allora è vero che siamo tutti scarti, perché non esistono due persone uguali.
Un libro che spiazza il lettore abituato al significato abituale delle parole, perché riesce a far diventare una parola con accezione negativa (il termine “scarto”) un valore aggiunto. La differenza può anche essere arricchimento, se c’è il rispetto reciproco e il riconoscimento che le caratteristiche dell’altro non sono solo un motivo di conflitto.
Non è l’ambiente che definisce gli individui: anche in una discarica gli uomini sono innanzitutto persone.
Inizia e finisce QUI.